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Animot 6. Psicoanimot

Psicoanimot

Anno III, numero 2, dicembre 2016
a cura di Felice Cimatti

Abstract

Di animali è piena la psicoanalisi, dall’uomo dei lupi di Freud alla mantide religiosa di Lacan. E però l’animale psicoanalitico è, in realtà, un animale per niente bestiale. Per la psicoanalisi l’animale è un’allegoria, un simbolo, il rappresentante di altro. L’animale di fatto non c’è.

Questo numero di Animot. L’altra filosofia prova a reimmettere l’animale-animale nella psicoanalisi. Seguendo il suggerimento di Deleuze e Guattari, la psicoanalisi deve diventare la pratica del divenire-animale.

Sommario

  • Felice Cimatti, Animalità e psicoanalisi. Dalla parola al corpo
  • Sergio Benvenuto, Animal sacrum. La differenza animale
  • Gary Genosko, Storie di cani. La cinofilia freudiana
  • Nicholas Ray, Verticale / Animale. Differenze di specie, Teoria freudiana e il caso storico dell’Uomo dei lupi
  • Simone Korff Sausse, Identificazioni animali

Appendice

  • Emma Ciceri per Animot numero 6, a cura di Leonardo Caffo

Editoriale

Animot 6: PsicoanimotOgni numero, per prassi, ha due curatori inerenti al tema scelto dalla direzione. E dunque, dato che la prassi va rispettata, anche questo li ha: Felice Cimatti, che dopo essere stato qui in veste di disegnatore torna con l’abito del filosofo, e Felice Cimatti allo specchio – l’altro io, forse l’inconscio, forse il rimosso. Una mossa retorica? Per nulla. Cimatti, insieme a Cimatti, per curare “Psico-aimot”: il sesto numero della rivista dedicato al tema dei temi, il rapporto tra animalità e psicanalisi, tra dentro e fuori, tra bestialità e sovranità, tra corpo e mente. Un numero importante con cui chiudiamo una stagione; dal settimo numero cambieremo editore per motivi legati al contingente scorrere delle cose ma mai, come direzione scientifica (per un attimo ci sdoppiamo anche noi, come Cimatti), potremo smettere di esprimere gratitudine alla direzione editoriale: a Graphe.it Edizioni, che ha creduto in un progetto difficile ma visionario e grazie a cui oggi la rivista si è imposta nel dibattito scientifico sugli Animal Studies diventando una rivista accademica ma anche, e forse soprattutto, un laboratorio di tutto ciò che attorno all’animalità ruota e potrebbe ruotare. È in questo senso che proseguiamo il nostro lavoro con gli artisti: Emma Ciceri (grazie, Emma), che in questo numero è la voce dell’immagine, racconta con un tratteggiare delicato l’alterità dell’umano come ombra animale: un animale che appare nella notte, quasi come la civetta hegeliana, e che ci ricorda di continuo ciò da cui veniamo, di cui siamo parte, e a cui dobbiamo tornate. Un numero, questo sulla psicanalisi, internazionale per scelta: affinché il dibattito nel nostro paese su questi temi sia sempre meno provinciale ma tuttavia accessibile a tutti. E in questo senso, e per queste ragioni, che siamo grati al lavoro di traduzione di Alessandra Colla, Isabella Del Buono e Giulia Guadagni: senza di loro, che in una paradossale pertinenza ai temi del numero hanno prestato la loro lingua alle lingue dell’altro, il numero sarebbe stato certamente impoverito. Animot si mette dunque allo specchio, insieme a Cimatti e a Cimatti, e si prepara a cambiare forma mantenendo i contenuti-contenitore il filo conduttore su cui continuare ad articolare il dibattito sull’animalità nella ricerca contemporanea. Per questo cambio di forma dobbiamo ancora ringraziare la Fondazione Prima Spes, che tramite Gallinae in Fabula sostiene economicamente il nostro progetto editoriale, ma anche l’Università di Torino che garantisce tramite la sua piattaforma digitale dedicata alle riviste l’accessibilità OpenSource di tutto il nostro archivio. Ancora presto, troppo preso, per fare un bilancio; tuttavia Animot continua ad ampliare l’estensione semantica di “animalità” spingendola verso confini prima impensati e impensabili. Continueremo a farlo, sperando ancora nelle vostre proposte e nel vostro sostengo (grazie, abbonati): ma come sempre, anche se talvolta non lo diciamo e lo lasciamo sotteso, ovviamente continueremo a farlo per “loro” – il nostro doppio allo specchio, il nostro inconscio, il nostro rimosso.

La Direzione

Animot 5. Amor, c’ha nullo amato… amar bestiale

Animot 5

Anno III, numero 1, giugno 2016
a cura di Domenica Bruni e Marco Ferraguti

Abstract

Siamo a metà dell’Ottocento quando Charles Darwin annotava sui suoi Taccuini storie di creature viventi legate in un’unica rete che aveva i contorni della storia, “qualcosa che potrebbe rivoltare l’intera metafisica, perché significa che l’uomo e gli animali, compagni fratelli in dolore, malattia, morte e sofferenza e fame dalla nostra origine essi probabilmente condividono un comune antenato”. I temi dell’amore e della sessualità – potenti propulsori delle vicende dei viventi- rappresentano un altro punto di incontro tra animali umani e non umani. Gli stati mentali e i comportamenti che una creatura vivente riesce a mobilitare per favorire la riproduzione sono quanto di più prezioso esso possa restituire all’evoluzione in cambio del regalo di essere stato selezionato. Il numero di Animot “Amor, ch’a nullo amato… amar bestiale” esplorerà questo aspetto del mondo naturale, dando vita a racconti e ritratti di animali che amano e sono amati.

Sommario

  • Domenica Bruni e Marco Ferraguti, Al lettore

Prospettive

  • Domenica Bruni, L’amore come fenomeno naturale. Questioni epistemologiche
  • Roberto Marchesini, Essere animali significa desiderare
  • Alessandro Minelli, Salmacina. Una storia di mare e d’amore

Intermezzo

  • Domenica Bruni e Leonardo Caffo, Questo lo chiami amore? Una chiave di lettura dell’umano

Amar bestiale

  • Marco Ferraguti, Infinite forme bellissime. Anatomia comparata degli spermatozoi
  • Alessandro Devigili, Cosa succede dopo la copula? La competizione spermatica raccontata dai pesci di Trinidad
  • Diego Fontaneto, Niente sesso, siamo bdelloidei

Storie

  • Gianni Rigamonti, L’alba del progresso
  • Sebastiano Mondadori, Gelsomino affumicato

Appendice

  • Marta Cattaneo per Animot numero 5, a cura di Valentina Sonzogni
  • Leonardo Caffo, Cosa c’entra Umberto Eco?

Editoriale

Animot 5Linguaggio no, vita mentale neanche, capacità di soffrire non se ne parla, morire proprio no … sarà forse l’amore la qualità volta a caratterizzare l’umanità come altro dall’animalità? Il numero cinque di Animot. L’altra filosofia, più o meno, parla di questo, così come di questo parla il lavoro fotografico di Marta Cattaneo volto a illustrare le idee, filosofie, le narrazioni, i dialoghi e i report scientifici che articolano il volume. Gratitudine, come sempre, ai curatori: in questo caso Domenica Bruni e Marco Ferraguti che hanno lavorato con serietà a un numero “speciale” che, tuttavia, disattende la risposta alla domanda iniziale. Anche l’amore, come ogni altra caratteristica del vivente Homo sapiens, è qualitativamente non caratteristico seppur distribuito quantitativamente tra le diverse specie: da noi giunge particolare e immenso, ma l’amar è sempre bestiale e solo dopo culturale. Pure l’amore, dunque, ospitato in casa Animot diventa qualità volta a discutere il proprio e l’improprio dell’umanità, il dentro e il fuori, fino allo iato che sembra dividerci dal resto delle forme di vita. Tornano alcuni autori, ne arrivano di nuovi, ma c’è una novità che non possiamo non raccontare con particolare entusiasmo: Animot è stata accolta dall’Università degli studi di Torino come rivista patrocinata ufficialmente e inserita entro il progetto Sirio che garantisce alla ricerca scientifica libero utilizzo dei nostri materiali, indicizzazione nelle piattaforme più importanti di divulgazione della conoscenza, e una credibilità prima mai acquisita da una rivista italiana su questi temi. Si è sempre pensato al lavoro sull’animalità come un lavoro “antagonista”, e non sta certo a noi dire cosa sia stato giusto o cosa sbagliato in certi momenti storici: il presente è semplicemente diverso, e il passato è semplicemente passato. I tempi sono maturi affinché il lavoro di ricerca e di attivismo, di storie e di prospettive nuove riguardo gli animal studies trovi il suo posto dentro quell’immenso insieme senza confini che chiamiamo “contemporaneo”. Comincia il 2016, e in sua compagnia anche il nostro terzo anno di attività: iniziarlo con amore, e attraverso l’amore, ci sembra casuale ma efficace. Ringraziamo tutti coloro che sostengono il nostro lavoro di ricerca, gli abbonati e i curiosi, gli studenti che iniziano a utilizzare Animot per le loro ricerche, e i diversi autori che si propongono per pubblicazioni di articoli o curatele: una comunità di ricerca è ormai nata. Una comunità che è letteralmente gigantesca e senza volto perché l’oggetto del suo studio è in realtà un insieme di soggetti, nati e morti sotto una narrazione sbagliata, che più che “specismo” si chiama “antropocentrismo”. Stiamo costruendo un percorso: da Derrida all’architettura, passando per la letteratura e il cinema, approdiamo adesso all’amore per decostruire l’ombra della specie che siamo stati e cominciare a costruire, finalmente, la proiezione di quella che dobbiamo divenire. Un divenire umano, più che animale: un divenire amore, verrebbe da dire, perché amor, ch’a nullo amato amar bestiale. Buona lettura.

La Direzione

Animot 4. Cinema: animale razionale

Animot 4. Cinema: animale razionale

Anno II, numero 2, dicembre 2015
Cinema: animale razionale a cura di Silvio Alovisio ed Enrico Terrone

Abstract

Il cinema rappresenta i personaggi sia in situazioni considerate tipicamente umane (linguaggio, ragionamento, società, politica) sia in situazioni che l’uomo condivide con vari animali (percezione, azione, locomozione, sesso, morte,nutrizione, riproduzione, combattimento). D’altra parte il cinema nasce come arte muta e si impone per la sua impressionante analogia con la percezione, e in tal senso esso sembra particolarmente versato per la rappresentazione di situazioni condivise da animali umani e non umani. L’obiettivo principale di questo volume è indagare la capacità del cinema di far emergere la dimensione animale dell’umano inteso aristotelicamente come “animale razionale”. Nella prima sezione si considera quel che vi è di animale, oltre che di razionale, nel funzionamento del cinema stesso. Nella seconda e nella terza sezione si considerano rispettivamente peculiari film e generi cinematografici, capaci di far risaltare la dimensione animale costitutiva dell’essere umano.

Sommario

  • Silvio Alovisio ed Enrico Terrone, Cinema: animale razionale
  • Costanza Candeloro, Il Conte di Kevenhüller

Cinema

  • Colin McGinn, Una teoria multimodale dell’esperienza filmica
  • Domenico Spinosa, Incursioni. La forma filmica tra estetica e biologia

Film

  • Thomas Wartenberg, King Kong come critica della civilizzazione
  • Daniela Angelucci, Pecore in salotto. Note su L’angelo sterminatore di Buñuel
  • Ernesto Calogero Sferrazza Papa, Punire il verme. Il potere zootecnico e l’allevamento umano

Generi

  • Giovanna Maina e Federico Zecca, Anim(h)ot. Riflessioni su pornografia e animalità
  • Luca Bandirali, Animal Filmhouse
  • Maurizio Ferraris, Cinema per bambini e animali

Appendice

  • Costanza Candeloro per Animot numero 4, a cura di Antonio Grulli

Editoriale

Animot 4. Cinema: animale razionaleSecondo Jacques Derrida il cinema è la prova che «l’avvenire appartiene ai fantasmi»: le immagini proiettate di chi non esiste più, ma che ora ci parlano comunque in un tempo presente, sono la persistenza della traccia e della memoria. Animot giunge al suo quarto numero, due anni di lavoro e di ricerca, e il tema che intreccia cinema e animalità sembrava perfetto per celebrare questo momento: i fantasmi per eccellenza sono, infatti, gli animali non umani. Piegati nelle forme e nel dolore dalla scure dello specismo, proiettati già morti nei video degli attivisti per salvare qualche altro animale che prenderà il loro posto, possono trovare sola consolazione in una parafrasi per sillogismo rispetto a ciò che abbiamo detto all’inizio citando Derrida: “l’avvenire appartiene agli animali”. Silvio Alovisio ed Enrico Terrone chiamati a questo anomalo, ma senza dubbio visionario compito, hanno regalato ad Animot un numero di intensa complessità: diviso in tre sezioni – Cinema, Film e Generi – e corredato della nostra solita appendice artistica, questo volume si propone di trovare un varco inaspettato per gli studi animali del futuro: l’animalità come alterità delle forme proiettate allo schermo. Chi sono questi fantasmi? E come possiamo metterci in contatto con loro? L’animalità, forse, altro non è che una staffetta: continuare un lavoro passato, salvando individui che muoiono mentre parliamo, tentando di costruire il futuro per individui che ancora non esistono. Costanza Candeloro, che incontrata quando aveva dodici anni durante una ormai lontana estate da Leonardo Caffo dimostra ancora una volta ciò che stiamo dicendo attraverso David Foster Wallace, ovvero che «ogni storia d’amore è una storia di fantasmi», ha donato ad Animot un lavoro artistico in cui la traccia nel cinema oscilla tra dubbio ed esclamazione: tra certezza del dolore e dubbio sulla possibilità di cambiare. Ad Antonio Grulli che ha curato per noi il lavoro di Costanza, e tutti gli autori che da Luca Bandirali a Maurizio Ferraris (che ha creduto ancora una volta in Animot), va un sentito ringraziamento: i tempi per una valutazione sulla rivista sono ormai maturi, e anche se il compito non spetta a noi qualsiasi giudizio eventualmente positivo deve molto a tutti coloro che hanno scelto, ancora una volta con Derrida, di “donare il tempo” a questo progetto editoriale. Il compito che ci attende e immenso e complesso: molti sono i varchi da aprire attraverso l’animalità, ma dalla letteratura all’architettura, passando adesso per il cinema verso l’amore e la psicanalisi, Animot sta cercando di onorare la difficoltà ma la necessità dell’impresa. Anche noi siamo fantasmi: qualcuno di voi leggerà questo numero quando la rivista sarà già chiusa, noi già morti, e il tempo perduto non potrà più neanche essere cercato. Se è così, proprio come per le interpretazioni dei fantasmi dello schermo a cui questo numero dedichiamo, significa che il testimone della staffetta è ora passato a voi: buon lavoro, il futuro è solo una questione di prospettiva.

La Direzione

Animot 3: Narrare, graffiare

Animot 3: Narrare, graffiare

Anno II, numero 1, giugno 2015

Narrare, graffiare a cura di Natale Fioretto ed Emanuela Jossa

Abstract

Quale immagine di animali ci restituisce la letteratura contemporanea? E che ruolo riveste la scrittura stessa nella (de)costruzione delle nostre credenze nei loro confronti? Leggendo alcuni autori contemporanei (da Ortese a Cimatti, da Grenier a Grossman) è possibile delineare non più un’immagine degli animali, ma dell’animalità fondamentale, per esplorare, messi per terra in mezzo agli animali non umani (per usare un’immagine kafkiana), la più grande tragedia del nostro tempo.

Sommario

Narrare

  • Susanna Trossero, La danza degli stormi
  • Dario Martinelli, Lettera sull’alterità
  • Rossella Tempesta, Cotidie

Graffiare

  • Roberto Russo, Il graffio che non lascia il segno. Appunti sugli animali in letteratura
  • Natale Fioretto,  Il balzo del lupo. Considerazioni sulla fiaba di Lev N. Tolstoj Il lupo
  • Orietta Ombrosi,  Graffio su graffio. La scrittura del gatto Murr (di Hoffmann) secondo Autobiogriffures di Kofman
  • Emanuela Jossa, Sguardi, tracce, alleanze: animali e fantastico in due scrittori ispanoamericani
  • Luisa Tramontana, Parlare con gli animali: un’analisi del romanzo Di tutte le ricchezze di Stefano Benni
  • Leonardo Caffo, La metafisica delle qualità: dove letteratura e filosofia si incontrano

Annotare

  • Io danzo nel silenzio. Leonardo Caffo dialoga con Giulia Lazzarino
  • Recensioni
  • Giuseppe Moscati,  Tra le righe della differenza animale non umana. Una ricognizione bibliografica

Editoriale

Animot 3: Narrare, graffiare (copertina)Un altro numero: un’altra sfida intellettuale. Parlare non più di animali, per animali, ma proprio da animali… e come? Perché qui si gioca il discrimine tra chi si occupa di animali e noi che, invece, stiamo rileggendo ogni parte di questa realtà attraverso il filtro della critica all’antropocentrismo. Un battistrada? Eccolo: «L’unica chance offerta all’uomo eretto è di sdraiarsi a terra: osservando le stelle assieme agli animali, magari si scorderà di essere una macchina di sopraffazione e guerra». Sono alcuni versi di Franco Marcoaldi dalla raccolta Animali in versi ad accompagnare questo terzo numero di Animot. L’altra filosofia il cui tema centrale è quello del rapporto tra animalità e letteratura. Il tema scelto – Narrare, graffiare – vuole sottolineare la mutua relazione che esiste tra i due aspetti: la narrazione può diventare un graffio per il pensiero, ma anche il graffio può essere, a sua volta, il racconto di qualcosa (cosa? in che modo? attraverso chi?). Tuttavia, ci sono anche storie di animali talmente stereotipate da non lasciare alcun segno in chi legge e ci sono graffi che vengono ignorati. Quale rapporto c’è tra l’animalità e la letteratura che degli animali parla? Ovvero, qui sta il punto, perché come voleva Gilles Deleuze la letteratura è l’unico vero modo per attuare il «divenire animale»?

La rivista – curata da Natale Fioretto ed Emanuela Jossa – si apre con tre narrazioni, proprio per attuare un primo passaggio di questo divenire: altre forme espressive, altri versi, altri modi oltre il logocentrismo descrivono il nostro passaggio su questo mondo. Susanna Trossero firma il primo testo, che funge anche da commento alle immagini di Felice Cimatti che accompagnano l’intero numero grazie al lavoro di Simone Di Camillo che si è occupato delle riproduzioni fotografiche. Continuiamo il nostro viaggio con la Lettera sull’alterità di Dario Martinelli, tratta dal suo libro Lettere a un futuro animalista, sterzando la saggistica verso alcune poesie di Rossella Tempesta che formano la raccolta Cotidie volta a sottolineare la stretta commistione tra animalità, letteratura e vita quotidiana.

La seconda parte di Animot_3, Graffiare, analizza questa forma di animalità che chiamiamo “letteratura” attraverso varie prospettive. Roberto Russo realizza uno status quaestionis, soffermandosi sul fatto che spesso il narrare non graffia; dal canto suo Natale Fioretto traduce dal russo un apologo di Tolstoj che ribalta la figura del lupo così come ci è stata tramandata dalla letteratura. Del gatto Murr (di Hoffmann) secondo Autobiogriffures di Kofman ne parla Orietta Ombrosi, in un articolo che continuerà poi sul prossimo numero. Emanuela Jossa ci porta in America Latina con uno sguardo alla questione degli animali e del fantastico in due autori: Julio Cortázar e Claudia Hernández. Tra gli autori che parlano più spesso di animali non umani figura Stefano Benni ed è a lui – in particolare al suo romanzo Di tutte le ricchezze – che è dedicato l’approfondimento di Luisa Tramontana. Chiude la seconda sezione un testo di Leonardo Caffo sulla metafisica delle qualità, che è il luogo di incontro tra letteratura e filosofia: un tentativo di comprendere che l’animalità è il luogo primario dell’esistenza.

Le note a margine sono veri e propri esperimenti, che confermano la volontà di sperimentare che sempre ci ha caratterizzati: nella sezione Annotare abbiamo, dunque, un’intervista di Leonardo Caffo alla ballerina Giulia Lazzarino, perché il narrare non avviene solo tra le pagine dei libri ma attraverso il suono che rende un corpo umano squarcio del falso confine di specie. Seguono, infine e per la prima volta, delle recensioni fino alla chiusura con una ricognizione bibliografica sull’animalità nella letteratura e sulla letteratura dell’animalità curata da Giuseppe Moscati. Qualsiasi cosa sia l’animalità questo numero, fatto di poesie, immagini e racconti, ma anche di balli e traduzioni, ne è un buono specchio: ovvero è infinite cose, e nessuna di queste. Animalità è un movimento: lasciamo che si liberi, con noi, attraverso di noi.

La Direzione

Animot 2: Architettura e animali

Animot 2: Architettura e animali

Anno I, numero 2, dicembre 2014

Architettura e animali. Linguaggi, modelli, autorialità, a cura di Mario Carpo e Valentina Sonzogni

Abstract

 Il numero di Animot «Architettura e animali. Linguaggi, modelli, autorialità» esplora il tema dell’animalità in relazione ad alcuni punti nodali delle pratiche e delle teorie architettoniche. L’ipotesi su cui si basa il numero è che gli animali non umani, come del resto molti tra quelli umani, usufruiscano dell’architettura senza sceglierla né contestarla, ma spesso ispirandola o determinandone la forma e la funzione. Esplorando i luoghi fisici e teorici di tale discorso, si intende tracciare un possibile sviluppo per una storia dell’architettura “altra” che possa comprendere molte architetture “rimosse” proprio perché destinate alla eliminazione, alla contenzione e allo sfruttamento degli animali.

«Architettura e animali. Linguaggi, modelli, autorialità», inoltre, si prefigge di portare alla luce, alcune riflessioni teoriche sull’animalità e l’architettura che allacciano il tema degli studi animali alla ricerca su cui si concentrano attualmente storia e teoria dell’architettura. Una speciale sezione è dedicata alla tecnologia dei sistemi auto-organizzati e alla metafora morfogenetica nella teoria del design digitale.

Sommario

Teorie

  • Valentina Sonzogni, Architettura e animalità: una storia da scrivere
  • Catherine Ingraham, Architettura, animale, umano: la condizione asimmetrica
  • Giacomo Piraz Pirazzoli, TreeTable

Luoghi

  • Paula Young Lee, Collocare il mattatoio: dal capanno alla fabbrica
  • Nigel Rothfels, Immersi con gli animali
  • Seth e Ariane Harrison, Harrison Atelier, E gli animali saranno cittadini

Opere

  • Luca De Leva, Ex. 1-24, 2014
  • Marianna Vecellio, Scambio di dita

Nature

  • Stan Allen, Dall’oggetto al campo: le condizioni di campo in architettura e urbanistica
  • Mario Carpo, Bestiale
  • Greg Lynn, Un nuovo modo di stare al mondo

Editoriale

Animot 2 / 2014: Architettura e animaliIl numero che stringete tra le mani di Animot: L’altra filosofia è dedicato agli spazi costruiti e a quelli costruibili. Sperimentando il punto di vista dell’altro, il senso della rivista, e dei suoi attraversamenti disciplinari trasversali, si ancòra a un’altra architettura possibile: in-umana, dis-umana, post-umana…

Ancora una volta L’altra filosofia è quella sommersa dall’omologazione: in questo caso, del resto, dall’architettura intesa come gesto da subire passivamente. Reclusi in infiniti edifici, animali umani e non umani, creano dei sotto-spazi che qui riportiamo alla luce grazie al lavoro di chi ha saputo guardare, attraverso il filtro del quotidiano, a un futuro e diverso mondo possibile. E allora gli autori di questo numero hanno aiutato la nostra immaginazione, a spingersi verso spazi prima inimmaginabili in cui le forme di vita altre diventano archetipi per altre forme del vivere. Il tema della liberazione dagli spazi di reclusione, carceri o macelli, zoo o fabbriche, si materializza nella metafora della ripetizione, spezzata da una quasi impercettibile differenza, che l’artista Luca De Leva (abile nella comprensione dell’alterità, noto per i suoi esperimenti di “scambi di vita”), congela nell’immagine della sorella, in un disegno a lei sovrapposto, in una scatola in cui risiede una vita che straripa, e in un’osservazione che cerca di cogliere il nuovo in un gesto che si ripete quotidianamente entro una catena apparentemente priva di interruzioni. Ringraziamo Marianna Vecellio, amica e curatrice, per aver consegnato ad Animot, attraverso Luca, una così sottile interpretazione della vita animale nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Un ringraziamento affettuoso non può che andare anche ad Alessandra Colla e Isabella Del Buono, traduttrici infaticabili, che hanno aiutato Animot a riprodurre in altre lingue le altre voci che abbiamo coinvolto. Il lavoro della rivista procede attraverso gli intenti di creare in Italia un nuovo spazio di ricerca che sia rilettura della cultura umana attraverso la lente dell’animalità, del non-antropocentrico, e dell’alterità possibile. Non più un pensiero sugli animali o per gli animali quanto, piuttosto, un pensare da animali – quelli che dunque siamo e che dobbiamo (ri)cominciare a interpellare. In questo senso la rivista è espressione di un più ampio percorso che non può che risolvere questo editoriale in un ultimo, ma indispensabile, ringraziamento: alle onlus Gallinae in Fabula e Fondazione Prima Spes va la nostra riconoscenza per il continuo sostegno alle iniziative culturali ed editoriali che abbiamo organizzato in questi anni; agli attivisti di Animal Equality Italia per aver silentemente ispirato la riflessione dell’artista; alle edizioni Graphe.it, che rendono il sogno di Animot possibile nel quotidiano, va invece quel particolare tipo di “grazie” che chiamiamo “riconoscenza”: una parola di cui, ancora, dobbiamo comprendere la reale portata semantica. Buon attraversamento degli spazi a ogni vita in ascolto.

La Direzione

Animot 1: Jackie D.

Animot 1: Jackie D.

Anno I, numero 1, giugno 2014

Jackie D., a cura di Leonardo Caffo e Maurizio Ferraris

Abstract

L’animalità attraversa tutto il pensiero del “secondo” Derrida: un pensatore apparentemente molto diverso da quello di Della Grammatologia – concentrato a problematizzare, alla luce del nostro rapporto col non umano, concetti quali “vita”, “sovranità”, “morte” e “potere”. Ma come è possibile connettere queste due fasi del filosofo e che ruolo hanno avuto gli animali nel suo pensiero? Queste e altre questioni, a partire dall’opera teorica di Derrida sull’animalità, saranno analizzate in questo primo numero di Animot.

Sommario

Tracce

  • Leonardo Caffo, J. Derrida: umanità/animalità, ontologia sociale e accelerazionismo
  • Felice Cimatti, Animalità e desiderio. Storie di gatte, e non solo
  • Marco Mazzeo, Il gatto e la fiaba: due obiezioni a L’animale che dunque sono di Derrida
  • Patrick Llored, La repressione logocentrica contro gli animali. Cosa identifica l’antispecismo derridiano?
  • Richard Iveson Derrida e il desiderio di porre fine a ogni vita. La decostruzione, De Landa e la vivacità degli oggetti
  • David Wood, Come non mangiare. Decostruzione e umanismo
  • Eleonora Adorni, L’etica della decostruzione e della responsabilità. Breve nota a Comment ne pas manger di David Wood

Ospiti

  • Maurizio Ferraris, Su due diversi Derrida: dal “non c’è fuori testo” all’animalità. Conversazione con Leonardo Caffo
  • Petar Bojanić, Del sovrano e della sovranità

Appendice

  • Valentina Sonzogni, Tiziana Pers per Animot 1

Editoriale

Animot 01/2014: Jackie D.Animot. L’altra filosofia è una rivista dedicata agli studi animali che si prefigge di attraversare quante più discipline possibili, per svelare i meccanismi manifesti e invisibili che ci separano dall’alterità animale.

L’altra filosofia è una filosofia fatta dal punto di vista dell’altro: questo, in effetti, il senso della rivista che stringete tra le mani. Animot è una parola che denota infinite vite, una pluralità di significanti, coniata da Jacques Derrida a cui non potevamo, dunque, non dedicare questo primo numero.

Maurizio Ferraris, che ha co-curato questo numero, ha lavorato molti anni con Derrida e ci ha aiutato a comprendere qualcosa in più su questo pensatore, così complesso, che ha fatto dell’animalità e degli animali l’ultimo punto d’approdo delle sue ricerche teoriche. A lui, come a Petar Bojanić che di Derrida è stato allievo, va la nostra riconoscenza per averci concesso un ricordo nitido, e non filtrato dalla mitizzazione, del lavoro di quest’uomo che ha assunto la prospettiva dell’assolutamente altro per raccontare il senso dello stare al mondo – e una possibilità diversa per il domani. Grazie a Felice Cimatti, Richard Iveson, Patrick Llored, Marzo Mazzeo, David Wood, per aver lasciato delle “tracce” – così si chiama simbolicamente la sezione più teorica di questo numero – a proposito di una loro rilettura delle teorie di Derrida sull’animalità, ma grazie anche a Eleonora Adorni, Alessandra Colla, Natale Fioretto e Giacomo Petrarca, per il magistrale lavoro di traduzione e revisione. Ringraziamo, infine, Tiziana Pers che con creatività e profondità ha lavorato con noi e con gli autori per mettere in risalto, attraverso le opere create apposta per Animot, alcuni tra i momenti salienti della loro scrittura, ma anche del pensiero del filosofo franco-algerino, il cui volto e la cui corporeità sono ospiti d’onore del primo numero, a partire dalla copertina.

Ogni nascita, anche quella di una rivista, è segnata dalla speranza – quale, in questo caso? Che attraverso l’animalità si possa rileggere la nostra storia e scoprire sulle spalle di chi è stata costruita: rivedere gli animali come soggetti di sguardo su questo mondo e, infine, proprio grazie a pensatori come Derrida, rivederci noi stessi, animali. Il numero si chiama “Jackie D.”, non Jacques, ma Jackie – il nome “vero” di Derrida – quello da algerino, da discriminato, da corpo umano. Il perché, va da sé – è nascosto silenziosamente tra le pagine che seguono: buona lettura.

La direzione scientifica